Caratteristiche fondamentali del pensiero cinese: filosofia o saggezza?

di Mara Camelin

Caratteristiche fondamentali del pensiero cinese

La civiltà e la cultura cinesi si fondano su una base filosofica elaborata soprattutto dai principi del Confucianesimo, del Taoismo e del Neoconfucianesimo.
Queste tre filosofie hanno modellato e guidato la vita e le istituzioni del popolo cinese per più di duemila anni.
Mettendo in rilievo l’importanza di preservare, coltivare e rendere grande la vita umana, la filosofia cinese è stata strettamente collegata con la politica e la morale ed ha assunto molte delle funzioni della religione.
Nel Taoismo la meta viene perseguita accentuando l’importanza del divenire una cosa sola con la via interiore dell’universo; nel Confucianesimo l’accento è stato posto sullo sviluppo dell’umanità dell’uomo, che si ottiene coltivando il sentimento e le virtù sociali. Il Neoconfucianesimo combina insieme queste due tendenze.
La filosofia in Cina non è staccata dalla vita e la pratica è considerata inseparabile dalla teoria.
Piuttosto che ricercare la verità escludendo come falsi vari punti di vista alternativi, il pensiero cinese ha tentato di trovare la verità nella combinazione di teorie parzialmente vere. E’ caratteristico della filosofia cinese il fatto di dare più importanza alla complementarità che al contrasto: spesso teorie e principi possono essere non soltanto differenti, ma anche opposti. Ma ovviamente se sono opposti è necessario che abbiano una base comune, ed è a questa che viene data la massima importanza, e le differenze sono considerate più come complementari che come contrarie.
Come spiega Anne Cheng Diversamente dal discorso filosofico ereditato dal logos greco, che avverte la costante esigenza di render conto dei suoi fondamenti e delle sue proposizioni, il pensiero cinese, operando a partire da un sostrato comune implicitamente accettato, non si può presentare come una successione di sistemi teorici1 […] Di fronte all’eterogeneità degli scritti dei pensatori cinesi, è giocoforza constatare la difficoltà di isolare un corpus testuale propriamente filosofico.2

Caratteristiche fondamentali del pensiero cinese

Diversi filosofi occidentali hanno sbrigativamente liquidato il pensiero orientale asserendo presuntuosamente, senza averlo studiato che esso non contiene alcunché di sensato3, o che l’Oriente ignora il concetto, perché si accontenta di far coesistere il vuoto più astratto e l’essente più triviale, senza alcuna mediazione.4 Lo stesso Voltaire, insigne filosofo dell’Illuminismo è più un estimatore della civiltà che del pensiero cinese.
Ma d’altro canto alcuni grandi filosofi della tradizione occidentale hanno dato lustro e riconosciuto la validità del pensiero orientale: come Leibniz e Schopenauer, ed è quest’ultimo per primo e forse l’unico, tra i grandi pensatori occidentali, a riconoscere valore filosofico ad alcune tesi del pensiero orientale.
Da Leibniz, voce per lungo tempo isolata, ha inizio la comparazione tra pensiero orientale e pensiero occidentale in una prospettiva però di perenne adeguamento delle tesi del pensiero orientale a quelle del pensiero occidentale.
Tale posizione sarà superata in epoca contemporanea da quella linea di pensiero che fa capo a Renè Guenon. Tale linea se ha avuto certo il merito di abbandonare definitivamente la presunzione di porre la filosofia occidentale come metro di valutazione privilegiato5, riprende e rinforza il pregiudizio metafisico della philosophia perennis, secondo il quale esisterebbe da sempre e per sempre un’unica verità che si esplica e determina in molti e diversi modi, in tempi e luoghi tra loro lontani, verità che egli individua nella prospettiva metafisica del pensiero Indu.
Stando a quanto detto il pensiero cinese sembrerebbe arrestarsi alle soglie di uno stadio pre-filosofico, o tutt’al più appartenere all’ambito della saggezza.
L’assenza di teorizzazione alla maniera greca o scolastica nei testi cinesi, spiega la tendenza cinese ai sincretismi: le idee invece di costruirsi in concetti si sviluppano in un grande gioco di rinvii che altro non è che la tradizione, che diviene così un processo vivente.
Insomma il pensiero cinese non procede in modo lineare o dialettico, quanto piuttosto a spirale.
Non ci si deve dunque sorprendere se il pensiero cinese non si è formato in ambiti come l’epistemologia o la logica: il procedimento analitico inizia con un distanziamento critico, costitutivo sia dell’oggetto che del soggetto, mentre il pensiero cinese appare totalmente immerso nella realtà, ed il fine ultimo non è il ragionare sempre meglio, ma il vivere sempre meglio la propria natura d’uomo in armonia con il mondo.
Certo tra i filosofi del ‘900 il pensiero di Heidegger e Wittgenstein è quello che ha più analogie con quanto appena detto. In Wittgenstein come in Heidegger è radicale la critica nei confronti di una filosofia tradizionale che privilegia l’idea dell’uomo come coscienza soggettiva distaccata dalle cose e dagli altri.
Per entrambi l’errore di fondo della filosofia è stato quello di fraintendere il rapporto dell’uomo con il mondo come un rapporto dell’interno del soggetto con l’esterno, il mondo, e pensare a partire da questo presupposto che il compito della filosofia fosse quello di spiegare come interno ed esterno possano concordare. Il superamento del dualismo cartesiano è la grande scommessa del loro pensiero.
Si tratta di mutare radicalmente prospettiva: l’uomo non può situarsi in un qualche luogo privilegiato per osservare la realtà, è sempre immerso nella vita, nell’esistenza, in un mondo che è in qualche modo già dato e di cui disponiamo linguisticamente. Questo vuol dire che non possiamo rapportarci al mondo come ad un esistente vergine scevro da ogni sapere sedimentato, da pratiche di vita.
Il predecessore di tale critica alla filosofia tradizionale è facilmente individuabile in Nietzsche, il quale considerava inaccettabile l’idea di un soggetto della conoscenza puro, atemporale e privo di volontà e dolore. Come altrettanto impensabile e inaccettabile considerava la convinzione che oggettività significhi intuizione disinteressata.
In conclusione possiamo dire che il ruolo della comparazione, o meglio il suo senso, non è quello di portare alla luce analogie insospettate, quanto piuttosto quello di costruire l’identità stessa dei termini comparati. Le analogie non vengono istituite da un intelletto puro che, al di sopra dei termini comparati,obiettivamente osserva e registra coincidenze, ma vengono poste da un soggetto 'interessato', cioè da un soggetto che in quanto teso a risolvere un problema, può trovare in pensatori orientali – così come in pensatori occidentali – le risposte più confacenti al proprio 'interesse'.6
Quindi più che parlare di filosofia comparata che dà subito l’idea di una disciplina settoriale, si potrebbe parlare di comparazione come esercizio filosofico, come pratica filosofica mediante la quale il soggetto si forma e si trasforma.7


1 Anne Cheng, Histoire dé la pensée chinoise, Seuil,Paris, 1997, trad. it. (a cura di A. Crisma), Storia del pensiero cinese, Einaudi edizioni,Torino, 2000, p. 12.
2 Ivi, p. 13.
3 Cfr. G. W. F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, tr.It. Firenze 1967, I, p. 140.
4 Cfr. Gilles Deleuze e Fèlix Guattari, Qu’est-que ce la philosophie?, Minuit, Paris 1991, p. 90; trad. It. Che cos’è la filosofia? a cura di Claudio Arcuri,trad. di Angela De Lorenzis, Einaudi, Torino, 1996, p. 87.
5 Cfr. G. Pasqualotto, Il Tao della filosofia - Corrispondenze tra pensieri d’oriente e d’occidente, Ed. Est Milano, 1997,p. 9. Vedi anche, R. Guènon, Introduction général à l’étude des doctrines hindoues, Paris, 1921.
6 Cfr. G.Pasqualotto, Op.cit., p. 13.
7 Cfr. G.Pasqualotto, Op.cit., p. 13.



© RIPRODUZIONE RISERVATA (08/03/2018)